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La caparra confirmatoria incamerata va tassata



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La Corte di cassazione ha chiarito che la somma incamerata a titolo di caparra confirmatoria rappresenta il risarcimento della perdita di proventi che avrebbero generato redditi, per loro natura, tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza.
Da tale principio scaturisce che dalla mancata dichiarazione della caparra confirmatoria può conseguire il reato di dichiarazione infedele.
 
La mancata dichiarazione della caparra: il caso in breve
 
La Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto - che aveva dichiarato un imputato responsabile del reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.lgs. 74/2000) e lo aveva condannato ad una determinata pena, con confisca dei beni nella sua disponibilità, per un valore pari al profitto del reato - dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato ascritto perché estinto per prescrizione e confermava la confisca limitatamente alla somma di denaro in sequestro.

L'imputato, nel proporre ricorso per cassazione, affidato a due motivi di diritto, si soffermava, per quanto ci consta, sulla ritenuta sussistenza del reato contestato, lamentando che i Giudici di appello avevano confermato la valutazione del Tribunale senza determinare la natura del corrispettivo versato al ricorrente in sede di stipula del contratto preliminare e senza considerare se esso fosse qualificabile in termini di caparra confirmatoria, clausola penale o caparra penitenziale, al fine di ritenerlo reddito assoggettabile o meno ad imposizione diretta.

La sentenza di Cassazione

La Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso dell'imputato, osserva come il Tribunale di prime cure aveva correttamente evidenziato che, nel contratto preliminare concluso tra l'imputato (promittente venditore di un immobile) e due promissari acquirenti, era stata stabilita la corresponsione di una somma di svariate centinaia di migliaia di euro quale acconto prezzo e, in caso di inadempimento, quale somma che la parte promittente venditrice avrebbe incamerato "a titolo di penale".

Ebbene, all’esito dello scrutinio della giurisprudenza di legittimità in materia, il primo giudice aveva ritenuto che la somma in questione, trattenuta dall'imputato quale promittente venditore, a seguito all'inadempimento del contratto preliminare da parte del promissario acquirente, costituiva reddito imponibile a fini Irpef e, come tale, avrebbe dovuto essere riportata nella relativa dichiarazione dei redditi.

La caparra confirmatoria: cenni civilistici

Si trattava, in sostanza, di caparra confirmatoria, che, va ricordato, è un patto, previsto dall'art. 1385 codice civile, che ha la funzione di spingere il debitore ad adempiere correttamente: pertanto, se al momento della conclusione del contratto o, comunque, prima dell'esecuzione dello stesso una parte versa all'altra una somma di denaro (o una determinata quantità di cose fungibili) a titolo di caparra, quest’ultima:

  • in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta;
     
  • in caso di inadempimento, se è inadempiente la parte che ha versato la caparra, l'altra parte può recedere dal contratto, trattenendo la caparra; se, invece, è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, chi l'ha versata può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

La caparra è un contratto accessorio a quello principale che si intende realizzare e si perfeziona con la dazione della somma di denaro o delle cose fungibili: è, quindi, un contratto reale e ad effetti reali.

La giurisprudenza in materia

Ciò chiarito in termini generali, passiamo ora ad esaminare la giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito importanti principi in materia di caparra confirmatoria e, soprattutto, di tassazione della stessa.

Quest'ultima clausola, infatti, come ha spiegato la Cassazione:

"risponde ad autonome funzioni: oltre a costituire, in generale, indizio della conclusione del contratto cui accede, incita le parti a darvi esecuzione, considerato che colui che l'ha versata potrà perdere la relativa somma e la controparte potrà essere, eventualmente, tenuta a restituire il doppio di quanto ricevuto in caso di inadempimento ad essa imputabile; può svolgere, inoltre, funzione di anticipazione del prezzo, nel caso di regolare esecuzione del contratto preliminare, costituendo, invece, un risarcimento forfetario in caso d'inadempimento di questo, poiché il suo versamento dispensa dalla prova del quantum del danno subito in caso di inadempimento della controparte, salva la facoltà di richiedere il risarcimento del maggior danno; mentre nell'ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell'imposta, in base al DPR n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, l'inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve a risarcire il promittente venditore" (cfr. Cass. 17868/2021; 7340/2020; 3736/2019; 10306/2015).

L'esenzione dal pagamento dell'Iva non esclude, però, che la somma trattenuta a titolo di risarcimento forfetario per l'inadempimento dell'obbligo di stipula del contratto definitivo rientri nel concetto di "reddito prodotto", perché riferibile ad un danno forfettariamente determinato, comprensivo di un lucro cessante essendo rimasto il bene immobile nella disponibilità del percettore della caparra.

In questo senso, ha chiarito il giudice di legittimità:

"l'inquadramento della clausola penale rientra pienamente nel disposto dell'art. 6, comma 2, del Tuir, secondo il quale sono considerati redditi della stessa categoria di quelli perduti le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti, concordando la dottrina nell'affermare che, in caso di inadempimento dell'obbligazione principale, la rilevanza dell'imposizione diretta della corresponsione della penale ha per base la visione civilistica della fattispecie come essenzialmente risarcitoria … in seno all'incremento patrimoniale che si verifica a vantaggio della parte non inadempiente, con l'introito della penale, sono state individuate, ai fini tributari, una componente risarcitoria della perdita subita ed una componente risarcitoria del mancato guadagno; quest'ultima è assimilata a reddito, e quindi assoggettata ad imposizione diretta, in quanto surrogatoria del mancato reddito a causa dell'inadempimento dell'altro contraente.

Per l'individuazione di tali componenti all'interno della prestazione risarcitoria si è fatto ricorso al criterio riferito all'attitudine a produrre reddito della prestazione principale rimasta ineseguita. In caso affermativo, l'introito della penale viene a sua volta considerato reddito per la parte afferente a tale mancato reddito.

Ne consegue che la penale è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita (cessione dell'immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell'art. 67, comma 1, Tuir” (cfr., in termini, Cass. 11307/2016).

Nel caso affrontato dalla Cassazione, quindi, la somma incamerata dall'imputato costituiva il risarcimento della perdita di proventi che, per loro natura, avrebbero generato redditi tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi dell'art. 67 del Tuir.

Tassazione della caparra: risvolti pratici

La sentenza in esame riprende l’orientamento già espresso dalla Cassazione, con la sentenza 11307/2016, sopra richiamata.

Secondo la Corte di legittimità, la caparra convenuta nel preliminare di compravendita è assoggettabile ad imposizione diretta in quanto la prestazione principale, rimasta ineseguita, avrebbe costituito reddito ai sensi dell’articolo 67, comma 1, del Tuir.

In questo senso, sono considerati redditi della stessa categoria di quelli perduti le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti (art. 6, comma 2 Dpr 917/1986).

In sostanza, la parte che incamera la caparra beneficia di un incremento patrimoniale, formato da:

  • la componente risarcitoria del danno emergente ossia la perdita patrimoniale subita;
     
  • la componente, della stessa natura, del lucro cessante, ossia del mancato guadagno, che deve essere soggetta ad imposizione diretta, come plusvalenza imponibile ai sensi del citato art. 67, poiché sostitutoria del mancato reddito, atteso il mancato adempimento dell’altra parte contrattuale.
...ma che succede ai fini Iva?

La caparra confirmatoria, che – come osservato – ha una funzione risarcitoria del danno in caso di inadempimento ingiustificato, non costituisce corrispettivo dell'operazione fino alla sua imputazione in conto prezzo.

In quest’ultimo caso la caparra, “trasformandosi” in una parte del corrispettivo, genera ricavi tassabili.

Quindi, la caparra non è rilevante ai fini Iva, ad esempio, se detta somma, dopo l’adempimento, viene restituita al promissario acquirente.

In questo caso, infatti, non costituendo corrispettivo dell’operazione, non rientra nel campo di applicazione dell’Iva ai sensi degli articoli 2 e 3 del Dpr 633/1972.

La prassi dell’Agenzia delle Entrate (cfr. circolare 18/2013), in argomento, ha chiarito la necessità, proprio per esigenze di certezza, che l’importo a titolo di caparra risulti da una specifica volontà delle parti o da un accordo formale, atteso che la somma versata può qualificarsi caparra confirmatoria, solo qualora...

...“risulti espressamente che le parti abbiano inteso attribuire al versamento anticipato non solo la funzione di anticipazione della prestazione, ma anche quello di rafforzamento e garanzia dell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale” (così si esprime la prassi citata).

Ugualmente, non rientra nel campo di applicazione dell’Iva non solo la caparra confirmatoria ma anche la caparra penitenziale (prevista dal successivo art. 1386 c.c.), clausola che spesso si tende erroneamente a sovrapporre alla caparra confirmatoria, ma dalla quale è ben distinta.

La norma civilistica da ultimo richiamata, infatti, conferisce alla caparra penitenziale una funzione risarcitoria in caso di recesso di una delle parti e, pertanto, la somma versata a tale titolo non costituisce corrispettivo, assoggettabile ad imposizione indiretta.

Fonte: Corte di Cassazione, sentenza n. 23837 del 21 giugno 2022.

A cura di Martino Verrengia



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